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      La canzone mononota e il postmodernismo

      L'esibizione di ieri sera a Sanremo degli Elio e le Storie Tese ha lasciato il segno. Sapevamo che sarebbe successo qualcosa di imperdibile, d'altro canto ogni volta che Elio calca il palco dell'Ariston si scrive la storia della musica italiana. Nel bene e nel male.

      Il primo Sanremo a cui gli Elii parteciparono risale al 1996. La canzone "La terra dei cachi" la conoscono tutti. Venne scritto un arrangiamento che faceva uso di tutti gli strumenti dell'orchestra, incluso il gong del percussionista che - a suo dire - fu usato solo in quell'occasione, con suo sommo piacere. Ma al di là della funambolesca esecuzione per la quale si complimentò l'orchestra, le esibizioni vennero ricordate perché il complessino milanese si presentò vestito da Rockets prima, con un braccio finto poi. Nell'ultima sera, in cui i cantanti in gara dovevano eseguire un estratto della propria canzone della durata di un minuto, Elio e le storie tese suonarono l'intero brano condensato in cinquantacinque secondi, ribattezzando il titolo in "Neanche un minuto di non caco".

      Elio arrivò secondo. Qualche settimana dopo Sanremo venne chiamato di fronte a un giudice, perché un'indagine rivelò che il risultato venne falsato e la vittoria fu consegnata a Ron. Ma la vicenda legale si concluse in maniera opaca.

      Nel 2008 Elio condusse il miglior Dopofestival di cui io abbia memoria, e si presentò sul palco dell'Ariston per cantare la cavatina di Figaro tratta dal Gugliemo Tell di Rossini. Naturalmente, si prese una lunga pausa all'interno della parola "Figaro", pronunciando per la prima volta a Sanremo il vezzeggiativo dato all'organo genitale femminile, il tutto con una gigantografia di Mangoni proiettata sul ledwall alle sue spalle.

      Insomma, il matrimonio tra Sanremo e gli Elio e le Storie Tese è una storia particolare, di quelle che lasciano il segno.

      Pertanto, non c'è da stupirsi che anche quest'anno la partecipazione degli Elii sia destinata a fare discutere. Il primo brano con cui si sono presentati - Dannati Forever - è un brano di costruzione abbastanza semplice: quattro quarti, struttura a strofa e ritornello. Insomma, una delle rare canzoni semplici presentate da questa eclettica band. Devo dire di essere rimasto sorpreso da questa prima canzone: mi aspettavo qualcosa di assurdo ma, al di là della mise da chierichetti, la canzone era lineare.

      Il delirio, quello di cui tutti stanno ancora parlando sui social network, è giunto con il secondo brano in gara, qualificatosi per la finale con oltre l'80 percento delle preferenze, dal titolo "La canzone mononota".

      Come suggerisce il titolo, si tratta di un brano costituito da una sola nota (un Do), fatta eccezione per l'intro e per una variazione posta circa a metà del brano. Ma quello che più conta è che si tratta di una metacanzone. Esistono altri esempi di metacanzone: mi viene in mente, ad esempio, il brano "Do-Re-Mi" del musical "Tutti insieme appassionatamente". Max Gazzé, ad esempio, dichiarò il passaggio da un accordo di La minore al La maggiore nel suo brano sanremese "Una musica può fare". Inoltre, esistono centinaia di canzoni che, nel testo, mettono in atto quella che Gérard Genette chiamerebbe enunciazione enunciata, ovverosia canzoni che parlano della scrittura della canzone stessa, o dell'atto di cantarla (si pensi a "Serenata di strada" dei Modena City Ramblers).

      In ogni caso, una struttura così complessa, così metareferenziale come quella della "Canzone mononota" non l'avevo mai sentita. Come detto, dopo l'introduzione iniziale la canzone si presenta come una serie di strofe le cui parole sono cantate su di un Do. L'accompagnamento, tuttavia, non è costruito sul solo accordo di Do maggiore in quanto, ad esempio, chiude le strofe con Do-Do-Fa-Fa-Do. Nel testo, però, si spiega la possibilità di non rendere monotona la canzone mononota variando tutti gli elementi al di fuori della melodia, tra cui il tempo, il ritmo, l'altezza e, ovviamente, gli accordi. Nello specifico, viene descritta nel testo una progressione di accordi che ha dell'incredibile: Do, Dom, Do aum, Do dim. Chiunque sappia strimpellare la chitarra si renderà subito conto dell'unicità di questo giro di accordi nella musica leggera. Ma probabilmente, si tratta di un esempio assente anche nella musica classica.

      Oltre alla metareferenzialità del medium-musica, però, la "Canzone Mononota" presenta quella che si potrebbe definire un'autoreferenzialità contestuale. Mi spiego: a Sanremo, da sempre, si dice che vi sia "sempre la stessa musica". È evidente che una canzone con una sola nota si presti bene a trasformarsi in allegoria dell'evento nel quale viene inserito, ma lo fa in maniera molto intelligente, parlando di musica e di composizione.

      Per dovere di cronaca, però, bisogna dire che a Sanremo vi fu un'altra canzone mononota, risalente a ventitre anni fa. Sto parlando di "A" di Francesco Salvi, presentata a Sanremo nel 1990 e la cui strova recitava "Canto la canzone più bella del mondo, che c'ha una nota sola che fa: A" e che, verso la fine, giustificava la scrittura del brano con la seguente frase: "E va beh, ho fatto una canzone che c'è dentro una nota sola, e allora? Qui è quarant'anni che c'è sempre la stessa musica!"

      Per la verità la canzone di Salvi non era costituita da una nota sola (la strofa ne aveva almeno cinque, il ritornello molte di più) e l'autoreferenzialità contestuale era esplicitata nel testo. In poche parole, il brano era infinitamente meno sagace (e musicalmente insignificante) rispetto a quello presentato dagli Elio e le Storie Tese ieri sera, ma è doveroso ricordarne l'esistenza.

      Checché se ne dica, ieri Elio ha fatto faville. Il popolo del web lo dà già per vincitore, una cosa che - probabilmente - è di cattivo auspicio. Comunque vada, ancora una volta gli Elio e le Storie Tese hanno dimostrato di essere dei pilastri della musica italiana. Capaci di demolire, ricostruire, rimodellare. Come ogni bravo autore postmoderno.

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