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La legge ammazza-blog

Il nuovo DDL Intercettazioni potrebbe cambiare il destino dell'informazione su Internet, inclusa l'informazione videoludica. Abbiamo cercato di capire in che modo.

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Non è da noi occuparci di politica. In fondo, parliamo di videogiochi. Un mezzo di comunicazione nel quale ci si rifugia per evadere almeno in parte dalla realtà e, dati i tempi che corrono, per non pensare per qualche ora a quello che vediamo e sentiamo su tutti gli altri media. La mattina mi alzo alle 7 e mezza, e la radiosveglia parte ogni giorno con i titoli del GR2. Da qualche settimana mi sveglio sentendo parlare di declassamenti, debiti pubblici e varie situazioni allucinanti che riguardano la nostra economia. Non credete che sia un problema solo italiano. Alla Gamescom tra colleghi si parlava più di miliardi bruciati in borsa che del nuovo Call of Duty.

Questa volta, però, la situazione è davvero seria. Gamereactor è, prima di tutto, un sito giornalistico a carattere non periodico. Nel parlamento italiano da qualche giorno si sta discutendo una legge che ci coinvolge in prima persona, il cosiddetto DDL intercettazioni. Si tratta di un disegno di legge molto lungo e articolato (dodici pagine divise in quarantadue comma che si riferiscono a varie leggi in vigore) difficile da decifrare per chi non ha le competenze. Immaginate di leggere un testo in cui ogni frase suona più o meno così: "all'articolo 350 comma 6 del codice di procedura penale, alla lettera f dopo la parola costituito si aggiunge esclusivamente." Una sorta di ipertesto senza link, con rimandi a numerosissime leggi che contribuiscono a ingigantire i tempi di lettura e comprensione di quanto scritto. Ma, d'altro canto, il burocratese è una lingua che solo pochi riescono a comprendere davvero.

La legge ammazza-blog

C'è qualcosa, però, di apparentemente chiaro e cristallino, che risponde al nome di "comma 29". Molti lo hanno definito il "comma ammazza blog", e non hanno tutti i torti. In Italia, in realtà, esiste una legge in vigore dal 1948 che - teoricamente - ci farebbe vivere nell'assoluta assenza di una libertà di stampa da ben sessantatre anni. Tale legge, denominata legge n. 47 dell'8 febbraio 1948, all'articolo 8 recita:

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Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale.

Ovvero, chiunque ha diritto di richiedere una rettifica a un articolo pubblicato su di un quotidiano o periodico, se questi lo ritiene lesivo o falso. E il direttore è obbligato a pubblicarlo. Tale "obbligo di rettifica", in vigore sin dal secondo dopoguerra, è a opinione di molti una legge giusta che non limita la libertà di stampa, ma che consente a un soggetto di "dire la propria verità". La legge è stata scritta per consentire a quello che potremmo definire un soggetto debole (una persona) di far sentire la propria voce su di un soggetto forte (il quotidiano o il periodico), e in qualche modo per garantire ad ogni cittadino il diritto di poter ribattere all'affermazione dei media, sia essa vera o falsa. Ovvero: tu scrivi qualcosa che ritengo soggettivamente offensivo? Ho diritto di replicare e tu sei obbligato a darmi spazio.

Il famigerato comma 29, però, estende questa norma a tutti i siti internet:

Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia
cui si riferiscono.

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E si puntualizza che tali rettifiche devono essere pubblicate "senza commento". In altre parole, se un soggetto si ritiene offeso da quanto riportato su di un sito internet, questi ha diritto di chiedere una rettifica che deve essere pubblicata entro quarant'otto ore così come lo desidera il richiedente. Senza commento, appunto. Per questo comma, Wikipedia ha iniziato uno sciopero.

Dato che anche Gamereactor fa informazione online sottoforma di blog, la cosa ci tocca in prima persona. Supponiamo che io, o un collega, domani scriva che The Elder Scrolls V: Skyrim fa schifo (esemplifico volutamente con un gioco inopinabilmente di ottimo livello). Mi telefonano dagli uffici di Bethesda, dicendomi di ritenersi offesi dal mio articolo. Che fare? Ho quarant'otto ore di tempo per pubblicare le dichiarazioni di Bethesda, altrimenti rischio una sanzione pecuniaria compresa tra i 15 e i 25 milioni delle vecchie lire. E la dichiarazione di Bethesda non può essere toccata, a meno che non violi a sua volta una legge.

In altre parole: ho libertà di scrivere quello che voglio, ma se qualcuno si ritiene offeso ha diritto di comunicarmelo e di vedersi pubblicata la sua rettifica entro due giorni. Non un vero e proprio bavaglio (ho ancora diritto di scrivere quello che penso), ma certamente la fine del web italiano così come lo conosciamo. Data l'enorme diffusione dei blog rispetto alla diffusione della carta stampata, la norma a occhio e croce sembrerebbe inapplicabile: immaginatevi la montagna di cause che si potrebbero generare per le migliaia di post che si pubblicano ogni giorno sulle decine di migliaia di blog in Italia.

La legge ammazza-blog

Senza usare toni sensazionalistici, è nostra opinione ritenere non solo sbagliata l'estensione della legge a tutti i siti internet, ma anche totalmente assurda e, probabilmente, inapplicabile. Crediamo fermamente che vi sia una differenza tra l'informazione professionale e l'informazione amatoriale, tra il blog e la testata giornalistica riconosciuta dall'Ordine. I siti internet già non godono degli stessi diritti della stampa (un sito può essere censurato, un giornale no). Per quale ragione dovrebbero ottemperare agli stessi doveri?



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