Siamo indignati. O forse dovremmo dire incazzati. Perché oggi i videogiochi sono sempre più belli, sempre più complessi, sempre più narrativi e... sempre meno italiani. Già, è proprio uno strano periodo quello che sta vivendo l'industria videoludica nazionale: il fatturato è in crescita, i videogiochi sono popolari e socialmente accettati, eppure il doppiaggio in Italiano è tutt'altro che scontato. Certo, storicamente siamo stati abituati all'assenza del doppiaggio italiano in serie molto importanti (si pensi al caso di Final Fantasy), ma sono molti i giochi di punta che non hanno lesinato sulla lingua italiana in passato, per poi compiere un clamoroso dietrofront in epoca recente. Forza Horizon 3 fu il primo, eclatante caso di serie sempre doppiata in italiano ma priva della lingua di Dante nel suo capitolo più ambizioso. Recentemente, Bioware ha confermato che Mass Effect: Andromeda non parlerà italiano. Insomma, il presente è preoccupante e il futuro non sembra roseo.
Non dobbiamo dimenticarci, però, che la questione del doppiaggio è relativamente recente nel mondo dei videogiochi. Negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, infatti, i videogiochi - un po' come il cinema delle origini - erano muti. Godevano di straordinarie colonne sonore, di effetti abbozzati e realizzati in maniera molto creativa con pochissime risorse hardware, ma non parlavano. Certo, ci furono delle eccezioni, tra cui lo straordinario tentativo pionieristico di Intellivision di introdurre la sintesi vocale nel lontano 1982 con un sistema chiamato Intellivoice, che riproduceva il parlato con una voce robotica. Fu un parziale insuccesso, che trovò applicazione solo in quattro degli oltre centotrenta giochi usciti sulla piattaforma.
Ancora, il celebre Dragon's Lair del 1983 (spesso annoverato tra i "miracoli tecnici" della storia dei videogiochi) aveva alcune frasi doppiate, agevolate dalla struttura a filmati del gioco, più vicino a un cartone animato a bivi che a un vero e proprio video game. In altri casi - si pensi a The Adventures of Bayou Billy, uscito su NES nel 1989 - si riuscì nell'impresa di inserire piccoli inserti vocali, incisi da un attore in carne ed ossa, all'interno delle risicatissime memorie racchiuse nelle cartucce dei videogiochi per console. Si trattava, però, di brevissimi campioni audio, limitati a poche parole o effetti sonori registrati dal vivo, campionati in bassissima qualità.
Con la disponibilità di memorie maggiori e di processori audio più potenti, le sporadiche frasi doppiate iniziarono ad essere sempre più frequenti nel mondo dei videogiochi, tanto da diventare uno standard per molti giochi arcade e da trasformarsi in iconici tormentoni (nel 1996 non esisteva videogiocatore che non sapesse imitare l'"Heavymachinegun!" pronunciato in Metal Slug per Neo Geo). Fu con l'avvento dei CD e lo sviluppo di tecnologie di compressione dell'audio con limitata perdita di qualità che i giochi con un vero, lungo doppiaggio iniziarono a spopolare. Nel 1995 uscì un titolo per PlayStation chiamato Discworld, che per la prima volta faceva del doppiaggio uno dei suoi selling point principali: la versione nipponica fu infatti doppiata da un famoso comico del Sol Levante, e la sua presenza nel gioco fu utilizzata dai responsabili del marketing giapponese per vendere più copie.
Benché si trattasse di un gioco sviluppato in Occidente (il soggetto portava infatti la firma dello scrittore britannico Terry Pratchett e il titolo fu sviluppato in Inghilterra), i giapponesi lo resero il primo esempio di doppiaggio videoludico utilizzato come selling point. La cosa, a quanto pare, funzionò: nel giro di qualche anno sempre più videogiochi iniziarono a stampare il bollino della presenza del doppiaggio in copertina, arrivando a reclutare - già nel 2000 - attori del calibro di sir Patrick Stewart per doppiare i propri giochi. Il primo decennio del nuovo secolo trasformò il doppiaggio in uno standard, e ora è praticamente impossibile trovare un videogioco tripla A privo del doppiaggio.
Per quanto concerne la localizzazione, e dunque il doppiaggio in italiano, le cose sono andate in maniera diversa. Non è facile tracciare un quadro dei primi giochi che furono commercializzati con la lingua italiana, ma di certo risalgono all'epoca del MS DOS. Maniac Mansion (LucasArts, 1987) è spesso annoverato tra i primi esempi dei giochi tradotti in italiano, ma si tratta di una sorta di falso storico: il gioco uscì infatti in lingua inglese (e così fu recensito dalla storica rivista italiana Zzap! nel numero 18 del dicembre 1987) per poi giungere in italiano solo nel 1991, nella sua enhanced edition pubblicata da CTO. I primi giochi che sappiamo con certezza essere stati tradotti in italiano sin dalla prima commercializzazione sono due titoli LucasArts usciti in Italia in contemporanea: Zak McKracken and the Alien Mindbenders e Indiana Jones and the Last Crusade: The Graphic Adventure, distribuiti dalla defunta Leader alla fine del 1989 e con un packaging identico alla versione americana, con un bollino giallo che segnalava la presenza della lingua italiana.
Non è un caso che furono avventure grafiche i primi giochi ad addentrarsi nel territorio della localizzazione: i titoli di altri generi, infatti, presentavano elementi narrativi molto deboli e non necessitavano di traduzione. Su PC - terreno fertile per il genere punta e clicca - i giochi tradotti in italiano divennero sempre più comuni, mentre nel campo delle console furono delle vere e proprie rarità. Fu proprio Maniac Mansion il primo gioco per console ad arrivare in lingua italiana su NES nel 1991, ma fu un caso rarissimo nella gloriosa storia della console Nintendo e dei suoi oltre 650 giochi pubblicati in occidente. Persino nella generazione successiva, i giochi in italiano per console furono molto rari: si ricordano, ad esempio, Mortal Kombat II per SEGA Megadrive (1993) e The Magical Quest Starring Mickey Mouse (1992) per Super Nintendo.
Il doppiaggio in italiano, invece, fece la sua comparsa su Amiga II nel 1993, con l'uscita di Inca II: Wiracocha, uno strano ibrido tra punta-e-clicca e shooter spaziale, che presentava un'installazione multilingua e un doppiaggio di ottima fattura. Su console, invece, molti ricordano Metal Gear Solid per PlayStation (Konami, 1999), uno dei primi grandi successi commerciali ad essere completamente doppiati in italiano, con voci multiple e dialoghi estesi. La qualità del doppiaggio fu altalenante, con alcune performance di buona fattura e altre a dir poco dozzinali. Ne deduciamo come, meno di vent'anni fa, il doppiaggio italiano fosse un mondo relativamente nuovo per le aziende locali coinvolte nella distribuzione dei videogiochi, con il risultato che molti sottovalutarono (o ignorarono) questo aspetto. Ciononostante, lo "shock" di ritrovarsi d'innanzi ad un gioco completamente in italiano era tale che, pur considerando le evidenti lacune qualitative, l'operazione veniva apprezzata dalla gran parte dei consumatori.
Nel decennio successivo, la macchina del marketing locale comprese una lezione importante: i giochi localizzati vendono di più. Questo assioma portò a una radicale modifica nel mondo dei videogiochi PAL, che introdussero nei propri titoli la cosiddetta localizzazione Multi5. In breve: su di un solo disco coesistevano le versioni inglese, francese, tedesca, spagnola e italiana del gioco. Fu una vera e propria epoca d'oro per i videogiochi in italiano: all'avvento di PlayStation 2 la lingua italiana era presente nella gran parte dei videogiochi, mentre il doppiaggio divenne uno standard in tutte le produzioni tripla A. Fu così che l'italico popolo si abituò ad avere il videogioco in italiano, storcendo il naso di fronte a un titolo privo di traduzione. Si innescò una sorta di circolo vizioso, che portò a rimarcare ulteriormente la distanza in termini di vendite tra i giochi tradotti e i giochi non tradotti, rendendo di fatto il mercato dei videogiochi italiani un mercato fatto di titoli che parlavano la nostra lingua.
Dunque, cosa ha portato al recente cambiamento che ha spinto aziende del calibro di Microsoft ed Electronic Arts a evitare il doppiaggio in italiano in due titoli di primaria importanza quali Forza Horizon 3 e Mass Effect: Andromeda? Qualche settimana fa, fece scalpore il caso di Torment: Tides of Numenera, gioco RPG finanziato tramite Kickstarter che centrò l'obiettivo nella raccolta fondi per includere la traduzione dei testi in italiano, per poi fare una clamorosa marcia indietro poco prima del lancio. "Vendiamo troppe poche copie in Italia per giustificare una traduzione" dissero. Torment: Tides of Numenera è un caso limite: parliamo di un gioco per PC - storicamente il formato meno venduto in Italia - di un genere di nicchia, di una produzione indipendente e con una quantità di testi la cui traduzione sarebbe costata svariate decine di migliaia di euro. In questo caso, dunque, non fatichiamo a credere alla parola degli sviluppatori: tradurre il gioco sarebbe costato troppo in relazione alle prospettive di vendita.
Ben diverso è il discorso di Forza Horizon 3, titolo con budget decisamente maggiore e figlio di una serie di fama mondiale. In questo caso, l'assenza del doppiaggio è stata solo la punta dell'iceberg di una localizzazione poco curata, che finì con tradurre "Forza Horizon presents" con un ridicolo "Forza Horizon regali" (poi corretto tramite una patch). Anche qui, le ragioni dietro a un esito tanto grossolano della localizzazione è da imputarsi a una ragione economica: Forza Horizon 3 è uscito solo su Xbox One, una console che in Italia non è riuscita a bissare il successo di Xbox 360.
Nonostante Microsoft non abbia mai rivelato i dati di vendita della console, è facilmente intuibile dalle classifiche di vendita software pubblicate settimanalmente da AESVI quanto la console sia in difficoltà. Ad ottobre 2016, ad esempio, il gioco più venduto per Xbox One in Italia fu FIFA 17, che tuttavia vendette meno copie della versione PlayStation 3 dello stesso gioco e meno copie del porting PS4 di Rise of the Tomb Raider. Insomma: la mancata traduzione italiana di Forza Horizon 3 è figlia dell'insuccesso della console su cui il gioco è stato pubblicato, ma fa altresì riflettere il fatto che questo gioco sia stato doppiato in tedesco, francese e spagnolo.
Di più difficile comprensione, invece, è la scelta dietro al mancato doppiaggio di Mass Effect: Andromeda. La serie non solo ebbe successo in Italia, ma il suo quarto capitolo uscirà su tutte le piattaforme. Il potenziale mercato, dunque, è il più ampio possibile persino da queste parti. Perché, dunque, non doppiarlo? Anche in questo caso, le ragioni sono da individuarsi in precise scelte di contenimento dei costi. Evidentemente, gli analisti al lavoro su questo prodotto ritengono che i costi della localizzazione non copriranno i ricavi derivanti dalla vendita del prodotto in versione doppiata, optando dunque per il taglio di questa componente.
Eppure, il mercato dei videogiochi in Italia è in crescita. Dunque, perché avvengono questi tagli? La risposta, forse, è proprio da rintracciarsi nei dati comparativi, che vedono il mercato italiano crescere di un esiguo 3,8% nei primi mesi del 2015 (fonte: AESVI) a fronte di una crescita del 7,3% su media europea (fonte: Global Games Market Report). In altre parole: in Italia l'industria cresce a ritmi dimezzati rispetto al resto d'Europa, e sensibilmente meno dei mercati emergenti, dove le percentuali di crescita anno su anno superano il 20% (ibid.). Lo scenario del nostro mercato, dunque, è desolante.
Infine, dobbiamo considerare il mercato digitale, su cui i produttori puntano molto grazie al maggiore ricavo su copia venduta. In Italia, il digitale ha sfiorato il 39% delle vendite totali nel 2015 (fonte: AESVI), mentre nel resto del mondo la percentuale ha superato l'83% nel 2016 (fonte: Global Games Market Report). Anche in questo caso e pur considerando la prevedibile crescita del mercato digitale italiano nel 2016, siamo di fronte a qualcosa di profondamente avvilente per il nostro paese.
Dobbiamo dunque renderci conto del fatto che quando Gordon Van Dyke (ex DICE) consigliò agli sviluppatori indipendenti di "non spendere soldi per l'italiano" spostando il budget sul russo o il portoghese brasiliano suscitando molte polemiche, aveva ragione. I videogiochi parlano sempre meno l'italiano perché il mercato che conta parla sempre meno l'italiano. Il nostro legame alla copia fisica dettata spesso dalla mancanza della banda larga (ricordate, siamo gli ultimi in Europa in termini di diffusione dell'Internet veloce con percentuali che raggiungono un deprimente 21% in regioni insospettabili quali la Valle d'Aosta) porta meno soldi al mercato, e dunque spinge gli sviluppatori e i produttori ad ignorarci. E, poiché i videogiochi non tradotti vendono meno, il nostro mercato è destinato alla flessione e all'innesco di un circolo vizioso che ci porterà a una situazione analoga a quella di altri paesi, nei quali la traduzione del gioco è cosa assai rara.
Per nostra fortuna, questo scenario apocalittico è ancora piuttosto lontano, e a brevissimo il nostro mercato vedrà l'arrivo di alcuni giochi doppiati in maniera eccellente, tra cui segnaliamo Horizon: Zero Dawn e The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Il nostro paese, inoltre, vive un periodo a crescita zero che ci colloca un passo indietro rispetto agli altri territori europei. Una volta chiusasi questa pagina economica, una volta risolti i problemi infrastrutturali che attanagliano il nostro Stivale, forse potremo tornare a far parlare la nostra lingua a tutti i videogiochi. Per il momento, dunque, non ci resta che attendere e sperare che il sole sorga di nuovo.