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Yara? Colpa dei videogiochi!

Nella trasmissione Pomeriggio Cinque il sacerdote Don Aldo Buonaiuto dà la sua lettura degli omicidi di Sarah Scazzi e Yara Gambirasio: i videogiochi ne sarebbero coinvolti.

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Cazzate. Questa è la parola con cui, in genere, liquido le affermazioni dei sedicenti esperti che utilizzano i videogiochi come capro espiatorio dei più efferati delitti. È accaduto in passato, qualcuno se ne è addirittura occupato a livello accademico. Risultato? Cazzate, appunto.

In questi giorni l'Italia si stringe attorno alla scoperta del cadavere di Yara Gambirasio, ritrovata in avanzato stato di decomposizione in un campo a pochi chilometri da casa sua. Uccisa non si sa ancora da chi, non si sa ancora perché. Provo un profondo rispetto per la famiglia della tredicenne. Un rispetto mediale. Perché il silenzio dei genitori, il loro perpetuato non-apparire, il loro non-uso della macchina mediatica mi ha contemporaneamente sorpreso e scioccato. Uno shock positivo, s'intende: dopo la vicenda di Sarah Scazzi giuntami addosso come un autoarticolato e meritevole di lunghi saggi e tesi di laurea per chi, come me, ha studiato comunicazione, la vicenda di Yara si pone in modo antitetico ed esorcizzante alla saga famigliare degli Scazzi e dei Misseri. La vicenda di Yara ne è risultata così meno sceneggiata, televisionabile e cinematografica della storia di Sarah.

Ora, mi metto nei panni del giornalista o del conduttore che deve costruire una trasmissione sulla vicenda di Yara Gambirasio. Tutto quello che sappiamo è che una ragazzina di tredici anni è scomparsa quattro mesi fa mentre tornava a casa dalla palestra. L'hanno cercata per quattro mesi per poi ritrovarla in modo fortuito in un campo. Semi mummificata, sicuramente assassinata, probabilmente uccisa a pugnalate o strangolata. E ora si sta cercando il colpevole.

Le sotto-trame della vicenda includono i possibili testimoni (il ragazzo smentito e poi risentito, la passante, eccetera), l'unione della comunità della bergamasca e il silenzio dei genitori.

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Ne consegue un quadro per nulla intricato e, come ho detto, decisamente poco interessante da un punto di vista narrativo. In quattro mesi c'è stato un solo colpo di scena. Una dilatazione narrativa immensa se paragonata alla serrata vicenda di Sarah Scazzi (sparizione della ragazza, ritrovamento del telefonino, confessione dello zio, arresto della cugina, fermo dei parenti, eccetera).

Come dicevo, mettendomi nei panni di chi deve costruire un programma di fronte a una vicenda con così pochi risvolti narrativi, sono inevitabilmente costretto ad allungare il brodo. Come? Invitando ospiti che ripetono le stesse cose, ribadendo concetti sintetizzabili in quattro parole per un'infinità di volte e scivolando su altri argomenti, aprendo continuamente delle parentesi che mi consentono di portare a casa una mezz'ora di trasmissione in cui, sostanzialmente, non ho detto nulla.

Lo stesso è accaduto il giorno martedì 1 marzo, nella trasmissione Pomeriggio Cinque in onda sulle reti Mediaset. Uno dei tanti ospiti chiamati per ripetere le stesse cose era un sacerdote, Don Aldo Buonaiuto, animatore del servizio Anti Sette Occulte, blogger e autore di numerosi libri commercializzati sul suo stesso sito internet. Con un volo pindarico da manuale, Don Aldo è riuscito a passare dall'omicidio di Yara ai videogiochi, collegando le due cose.

Yara? Colpa dei videogiochi!
Don Aldo Buonaiuto, alla trasmissione Pomeriggio Cinque
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"È una vergogna che i nostri bambini giocano con dei videogiochi che vince chi uccide e massacra di più. Dobbiamo smetterla con questa cultura di morte. Facciamo qualcosa per Yara." (sic)

L'estratto fa parte di un più ampio discorso in cui Don Aldo invita all'istituzione di una giornata di lutto nazionale, in cui si invitano "le agenzie che esaltano il mondo dell'orrore, del macabro e della violenza" a spegnersi, facendo un chiaro riferimento al medium videoludico.

L'indignazione di Don Aldo si è accompagnata a un'indignazione da parte di chi, da sempre, si prodiga per una cultura del videogioco. AIOMI, l'associazione dedicata alle opere multimediali interattive, ha addirittura rilasciato un comunicato stampa sulla vicenda, esprimendo tutto il suo sconcerto e definendo "disinformazione videoludica" le parole di Don Buonaiuto.

Mi trovo completamente d'accordo con AIOMI. Ma credo altresì che il problema della disinformazione videoludica parta da noi. Noi giornalisti, noi giocatori, noi padri di famiglia. Satoru Iwata, presidente di Nintendo, l'altro ieri al keynote di San Francisco ha mostrato un grafico in cui si è mostrata l'evoluzione demografica dei videogiocatori. Un tempo il videogioco era una res paucorum, una cosa di pochi. Oggi è una cosa di tutti, uno medium del quotidiano.

Dare la colpa al videogioco o, più in generale, ai media della violenza è un'atto che dimostra ben poco acume. Se, da un lato, è vero che i media producono degli effetti sull'individuo e sulle masse, è altrettanto vero che questi effetti vengono metabolizzati dall'uomo. Il rapporto di causa-effetto dei media sull'individuo non è così scontato e, pertanto, è assolutamente imprudente e sbagliato affermare che i media con contenuto violento producono violenza. Semmai, così facendo, si produce un'effetto ben più grave: la paura e l'ignoranza.

Come dicevo, però, la cultura della controinformazione si combatte con la cultura dell'informazione. Ancora una volta noi che amiamo e fruiamo il medium videoludico dovremmo alzare la voce, farci sentire e dichiarare al mondo che il videogioco è anzitutto uno strumento ludico. Uno strumento costituito da decine di generi e sfaccettature che, come in ogni medium, trattano di differenti argomenti in modo diverso. Tra una partita a Tetris e una partita a Dead Space intercorre lo stesso iato che ritroviamo in un romanzo di Gianni Rodari e un saggio di Bruno Vespa. Generi, epoche, stili, pubblici e contenuti diversi.

Yara? Colpa dei videogiochi!
Una delle campagne pro PEGI di AESVI

In questo scenario chi è al lavoro sugli altri media dovrebbe cooperare a favore di una logica intermediale, dando voce a chi si occupa di diffondere la cultura del videogioco, e non di denigrarla. AESVI, l'associazione degli editori videoludici italiani, è coinvolta a livello ministeriale anche per evitare la controinformazione videoludica, promuovendo l'uso e la conoscenza del sistema autoregolamentativo PEGI, che se fosse entrato nella testa di tutti eviterebbe inutili polemiche.

L'intervento di Don Aldo Buonaiuto è solo la punta dell'iceberg. Dobbiamo farci sentire, dobbiamo dirlo a gran voce. La causa di ogni male è l'ignoranza, non il videogioco.



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